VISITA AL QUARTIERE LUDOVISI
Architetto Gianfranco De Micheli
Arrivando a piedi al Liceo Tasso si ha la prima forte impressione della misura del quartiere, misura intesa nel
significato non della dimensione metrica, ma del peso, della forza e della spinta che i rapporti di vuoto e di
pieno, di materiali e di colorazioni, di masse e di decori, esercitano sui sensi del viandante.
L’Architettura è l’abito del vivere. L’habitus, commentavamo in proposito con il Professore Massi di Latino e
Greco e gli studenti, è la veste dell’interiorità, è l’espressione della natura essenziale di una persona.
L’ampiezza del significato della parola abitare si è così manifestata. C’è un nesso infatti tra l’abito e
l’Architettura, nesso presente in ogni periodo della storia. L’Architettura, del resto, ha la stessa speciale
affinità anche con la musica.
Nel Quartiere Ludovisi il sole passa soltanto tra gli incroci delle strade strette o si impone, all’interno,
attraverso le grandi finestre dei piani alti. La massa degli edifici sviluppa sulla strada una corrispettiva massa
d’ombra.
Nel 1870 cominciava la speculazione edilizia, la Città necessitava di nuove forme d’espansione e alcuni parchi
morivano insieme al Romanticismo. Il concetto di industria entrava prepotentemente anche nell’urbanistica,
al punto da creare per la prima volta grandi palazzi, in quantità. Non più “il palazzo” della nobile famiglia
possidente (Ludovisi), ma “i palazzi” di un’intera nuova classe agiata.
Tuttavia per quanto possa sembrare che in alcuni momenti della storia le forme delle architetture siano tali
da imporsi come rivoluzionarie rispetto alle precedenti, ad un’analisi più attenta è possibile sempre
intravedere quella trama unica che unisce e lega la forma moderna a quella antica.
Gli edifici del quartiere Ludovisi pur appartenendo a periodi diversi della storia degli ultimi centocinquanta
anni -ci sono infatti palazzi del 1870, splendidi villini dei primi anni del ‘900, edifici pubblici e alberghi del
periodo del regime fascista (Palazzo delle Corporazioni del 1931 e l’attuale Hotel Palace del 1920 in Via
Veneto - Architetto M. Piacentini) e palazzi che potremmo anche definire contemporanei proprio per essere
stati all’avanguardia nel loro tempo (Edificio polifunzionale in Via Campania - Studio Passerelli 1964)- ebbene
questi edifici tramandano e conservano segni e rapporti di proporzioni delle origini dell’architettura propria
del Mediterraneo.
Deve essere menzionata la presenza nel quartiere, seppure ridotta, di alcuni resti degli antichissimi Orti di
Sallustio, proprio per rendere chiaro che l’architettura è manifesta per una notevole quantità di tempo. Non
c’è da stupirsi allora se sulle facciate degli edifici del quartiere siano ancora presenti lesene, capitelli, archi,
fregi e decorazioni che seguono gli stessi caratteri di stile dell’antichità classica. Se poi gli edifici
contemporanei, i più rappresentativi, non tramandano più gli stessi caratteri, allo stesso tempo non si
discostano dal ritmo armonico che quei caratteri sviluppavano. Si arriva così a percepire come, in questi
ultimi edifici, quella che potrebbe essere definita come assenza di decori è in realtà una mutazione delle
sonorità, non della qualità e tanto meno della quantità.
Le antiche mura romane, che delimitano il quartiere verso Villa Borghese, sembra abbiano proprio la
funzione di contenere sviluppo e modernizzazione, segnando con un tratto deciso l’imposizione del limes.
In questo contesto si erge l’edificio del Liceo Ginnasio Torquato Tasso. Solido ed essenziale, con una certa
maestosità ricca e sicura del suo carattere e della sua importanza, il palazzo è parte integrante del quartiere
nella forma e nella funzione; la sua appartenenza alla microarea metropolitana non è in discussione.
Gli studenti invadono la stretta strada senza suscitare l’ira degli automobilisti, la cui attuale quantità non
poteva certo essere prevista nel 1870. Pur mantenendo un grado di sobrietà consono alla sua funzione,
l’edificio non manifesta assenza di decori, la stessa scala d’ingresso esprime, seppure misurata, la solennità
che bene accompagna gli studi classici, le arcate poi delle finestre dei lunghi corridoi e le piccole volte al
piano terra, anche nella loro funzione statica, hanno un che di sacro, valore essenziale dello studio, in
assoluto. I lunghi ampi ed alti corridoi, ricordo di un’austerità d’altri tempi, ai giorni nostri rappresentano
paradossalmente una ricchezza enorme e si spera non debbano mai essere controsoffittati, come
recentemente avvenuto a Roma in molti edifici pubblici dello stesso periodo. L’edificio inoltre conserva
reperti delle attività di ricerca svolte nel corso della sua storia didattica e l’attuale Presidenza ha arricchito lo
spazio interno con calchi di rilievi e sculture di epoca classica, integrando ancora meglio l’edificio al contesto
territoriale.
Uscendo dal Liceo, nel quale si è stati presi dal vortice dei giovani studenti e dalle loro espressioni, si guarda
all’architettura del quartiere non più soltanto nel suo aspetto di abito del vivere, ma come al luogo, al luogo
dell’ Ufficio, a cui tutti gli individui quotidianamente assolvono.
Uno di questi Uffici del quartiere, è una piccola sartoria, che assolve all’Ufficio della realizzazione degli Abiti,
ma questa volta non si parla dell’ Abito come metafora, ma dell’Abito come veste del corpo umano, quella
veste che in quanto linguaggio rappresenta l’uomo in espressioni significanti. In questa sartoria si realizzano
Smoking e dalla strada è possibile vedere la lavorazione manuale dietro al manichino con la intramontabile
giacca nera dai bottoni di stoffa ed i risvolti lucidi, che sono poi gli stessi caratteri di stile di cento anni fa, con
qualche adeguamento dovuto al nostro tempo.